Nel 1994 decisi di raccogliere in un’unica edizione i pezzi solistici per strumento ad arco che avevo scritto fino a quel momento. I tre pezzi erano
Tornasole per viola (il più recente, scritto nel 1992-93),
Vigilia per violoncello (del 1988) e
Terzo paesaggio senza peso (scritto l’anno successivo); un pezzo per violino solo a quel tempo non era ancora presente nel mio catalogo. Nacque così
Trittico grave.
“Grave” - lo si può facilmente intuire - perché lo strumento più acuto della famiglia degli archi era assente. La parola “grave” oltre all’accezione musicale, che indica la destinazione strumentale di questa raccolta, ne ha, ovviamente, una ancora più comune (“‘grave’ cioè ‘pesante’, perché sottoposto agli effetti della forza di gravità”, recita il dizionario). Ed era intorno all’idea di gravità e ai modi di sfuggirla che si focalizzava l’obiettivo della composizione, comune a questi tre pezzi. Il mio scopo, infatti, non era tanto quello di dare valore, attraverso la scrittura musicale, ai tratti caratteristici di questi tre strumenti, cioè quelli che determinano la loro identità primaria: il registro grave, la prevalenza dei colori scuri, caldi, la consistenza del loro timbro, la profondità della loro estensione. Volevo piuttosto indagare le risorse che in essi si potevano scoprire per trasformare la loro identità: per liberarli, si potrebbe dire, dalla gravità di una identità acquisita una volta per tutte e dalle convenzioni esecutive a cui essa li costringe. Il lavoro di composizione diventava in quel caso un’operazione di sottrazione, di analisi e di decostruzione: comporre voleva dire sottrarre peso, scavare il suono, svuotandolo dall’interno per mettere in luce altre caratteristiche di questi strumenti e crearne un’immagine sonora inaspettata, una nuova o altre nuove identità. Ecco allora che i suoni gravi di questi strumenti, invece di costituire delle semplici ‘note gravi’ (da aggregare orizzontalmente e/o verticalmente), diventano suoni complessi, organismi dotati di una vita interiore, materia dalla quali distillare singole componenti - armoniche e inarmoniche - attraverso modi d’attacco particolari, l’impiego (discreto) della microtonalità e l’uso delle doppie corde.
“Trittico” perché i tre pezzi avrebbero dovuto costituire un complesso di tre opere compiute e autonome ma collegate l’una con l’altra. Avrebbero dunque potuto essere eseguite separatamente, l’una dopo l’altra - oppure ognuna in una occasione distinta -, ma anche contemporaneamente, i tre strumenti in trio: l’uno “sovrapposto” all’altro, così come l’etimologia latina della parola “trittico” lascia pensare (
Triptyca: libri di note composte di tre tavolette ripiegabili l’una sull’altra). Perché questa coesistenza potesse prodursi era necessario stabilire delle regole che permettessero di garantire anche nella versione in trio da un lato l’indipendenza e la precisione esecutiva di ogni strumento e dall’altro la possibilità di fare incontrare in maniera libera e flessibile, ma in punti ben determinati, le figure e i gesti di ogni strumento. Ogni strumento, benché indipendente, doveva interagire con gli altri, rispondendo alle sollecitazioni degli altri con la modifica della propria parte e provocando con la sua esecuzione un comportamento equivalente da parte degli altri.
Il passaggio dalla versione solistica alla versione in trio ha comportato delle modifiche nella parte della viola e del contrabbasso, mentre quella del violoncello è rimasta inalterata. Violoncello e viola espongono infatti il materiale della versione a solo secondo un procedimento di ripetizione e accumulazione che può essere schematizzato nel modo seguente:
A / A B / A B C / A B C D / etc.
Questo procedimento presenta inoltre delle varianti interne, diverse tra i due strumenti.
La forma generale del trio è composta da 26 brevi sezioni, risultanti dalla sovrapposizione delle sezioni che costituiscono i brani nella loro versione per strumento solista (21 per la viola e il violoncello, 26 per il contrabbasso). I tre strumenti suonano generalmente insieme, ciascuno con il proprio tempo e secondo lo schema di ritornelli e varianti stabilito per il pezzo in versione “solo”, ad eccezione di cinque sezioni, nelle quali il contrabbasso suona da solo. Per tutte le sezioni “a tre” uno strumento, a turno, ha il ruolo di “master”. Ciò significa che eseguirà interamente la sua sezione e che gli strumenti che in quel momento hanno il ruolo di “slave” adegueranno l’esecuzione della loro sezione alla durata richiesta dall’esecuzione della sezione dello strumento “master”. Questo adeguamento può consistere, a seconda dei casi, in una interruzione, in una o più ripetizioni modificate della sezione appena presentata, o in un’anticipazione di una nuova sezione.
Il completamento della versione in trio del Trittico grave è avvenuto solo quest’anno, ed è stato reso possibile grazie all’interesse del
Collegium Novum di Zurigo, che ne cura la prima esecuzione assoluta.
Stefano Gervasoni, Bogliasco, 4.5.2000