Fu verso o forse fu inverno

sei liriche di Lorenzo Calogero

2016
FOR
mezzosoprano, piano and live electronics
TEXT BY
Lorenzo Calogero
DURATION
about 17'
FIRST PERFORMANCE
26.5.16, Paris, Hôtel de Galliffet, Istituto Italiano di Cultura, Monica Bacelli (mezzosoprano), Giulio Biddau (piano), Marco Liuni, Alvise Vidolin (live electronics)
PUBLISHER
CATALOGUE NUMBER
S. 15094 Z.
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Introduction

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Fu verso o forse fu inverno è un omaggio alla poesia di Lorenzo Calogero (1910-1961), poeta italiano purtroppo ignoto ai più, a cui mi sono avvicinato grazie a Giuseppe Caccavale, artista, e a Marina Valensise, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Affascina a una prima lettura la bellezza e la musica(bi)lità de suoi versi, quasi anestetizzanti la sofferenza dello sguardo profondamente introspettivo con il quale Calogero analizza attentamente emozioni, sentimenti e percezioni e cerca scrupolosamente le parole e le corrispondenze di suono per trasfigurarle. E’ dunque una poesia intimista, ma che non si richiude su se stessa in auscultazioni compiaciute e solipsistiche. Nelle sue costruzioni sonore, Calogero crea labirinti che portano a liberare e a trascendere il dolore di una condizione personale attraverso la quale egli esprime la sua viva conoscenza delle cose, e non a imprigionarle in un universo autistico e autoreferenziale. Visioni fantastiche eppure plausibili, associazioni improbabili, parole che in virtù della loro collocazione reciproca e della loro posizione nel verso, corrispondente o meno al suo ritmo naturale, sembrano suonare diversamente o significare diversamente, pur essendo da sempre scolpite nella familiarità del senso comune apparente.
 
Nella sua realizzazione, questo ciclo vocale - forse destinato ad avere un prolungamento - si presenta in una maniera del tutto convenzionale: una serie di liriche accompagnate dal pianoforte e “straniate” dall’elettronica che, diffusa sia all’interno del pianoforte stesso tramite degli eccitatori posti sulla tavola armonica, sia nello spazio della sala da concerto in maniera trasparente o spazializzata, si occupa proprio di trasfigurare la scrittura musicale e l’espressione poetica che essa contiene, in piena adesione al testo calogeriano. Così agendo proprio come la poesia di Calogero, compiendo un percorso che va dall’intimità delle emozioni sentitamente descritte alla loro sublimazione in metafore di pensiero.
Per questo motivo il primo “lied” comincia in maniera del tutto rovesciata rispetto a quanto ci si possa aspettare: il pianista lancia alcune schegge di suono, le lascia passivamente risuonare; all’interno prendono corpo le prime voci della poesia, non cantate ma diffuse nel pianoforte dall’elettronica, con le quali la voce dal vivo della cantante si confronta, come in uno specchio. Si scruta, comincia a intessere un dialogo, quasi a interrogare se stessa; si “stacca” dalle immagini che essa stessa descriveva quasi fondendovisi (è il caso di alcuni rumori naturali di pioggia che si ascoltano in maniera iperrealista, mimetizzati alle risonanza del pianoforte e della voce nel pianoforte). Nel lied seguente la voce e il pianoforte si fanno strumenti attivi della poesia, ne portano sempre più l’espressione a emergere, fino al terzo lied nel quale la voce cantata diventa finalmente protagonista, quasi esibendosi virtuosisticamente, ma in uno stile recitativo portato all'estremo. Nei tre lied seguenti assistiamo al percorso inverso: benché trovato il tono, assunto il ruolo di voce dell’espressione poetica, sublimato il rapporto con le cose dapprima sentite introspettivamente, il canto e il suo alter ego pianistico ripiegano in una sorta di visione malinconica: il mondo, anche se cosmicamente trasferito al mondo delle idee, conserva il suo mistero inafferrabile che il poeta credeva invece di potere cogliere in un rapporto intimamente percettivo con le cose. L’elettronica torna a farsi “naturale”: l’interno del corpo risonatore del pianoforte nel quale si proietta la voce e il corpo acustico della sala fanno un tutt’uno. E persino l’esterno si fonde con l’interno. I rumori e le parole del muro del Viale dei Canti (l'opera Di Giuseppe Caccavale sita nel viale d'accesso all'Istituto Italiano di Cultura di Parigi, alla cui realizzazione ho partecipato per la parte sonora) con il coro errante dei suoi poeti, tutti all’inseguimento del senso sfuggente delle cose, entrano nella sala fondendosi con l’elettronica e accompagnano le ultime note del canto di Lorenzo Calogero in una sorta di omaggio collettivo.
 
S.G.
8.5.16

Text(s)

IT
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EN
OR
... Ciò che fu pianto

... Ciò che fu pianto
     così in rugiada cala.
     Il trepido passeggero,
chiunque di lì passi si dilunga e s’attarda,
guarda l’immensità remota
e scorge segni premonitori
dell’indubbia potenza
della saggezza divina
e, percorso da un subito pensiero,
si slaccia le scarpe
e percorre scalzo in silenzio
il ridente sentiero,
al pensiero della morte inclina
e sente di gustare in quest’istante
un briciolo di eterna pace.

da: Quaderni manoscritti del 1936, ined.

* * *

O mutilate ombre

O mutilate ombre,
denso silenzio ch’era mio
dove l’erba prima della vita rara si colse,
e si frastagliarono i giorni
e non furono più che un pallido ritorno
delle cose prime. Così fu stanca l’anima,
i tuoi sorrisi immensi non specchiarono
più il mio tremore, questa cosa scialba,
opaca, corrosa dal mio amore
che fa bianca un’ala.

da: “Ma questo” (1950-54)
(Ed. Lerici)


* * *

Ora mobile punta

Ora mobile punta a rilento.
Le chiomate sostanze stai a vedere.
Naufraghe chiome le adeguano
e la grande pace s’avvera. A parti uguali
l’orbita del giorno divise questo storno
longevo e uno spicchio
inumano di musica. Il cerchio è arduo.
Senti alla voce in argine
l’origene della trepidante sera.
Castelli quadrati appaiono. L’occhio si spegne
atono in un coro piegato.

da: “Ma questo” (1950-54)
(Ed. Lerici)


* * *

E cosí per onde e sbalzi

E cosí per onde e sbalzi
morirà di mattino, o chi lo sa
se mai si trova per ragioni
di dolcezze confusa a l’acqua vana
un’orchidea o una catena
o mai si chiama. Sortilegi
le stagioni in un nastro avvengono
entro una voce o una mattina chiara.
Così la venatura d’aria
nei tuoi occhi, più pura,
umidi si trova e si fa varia.

da: “Ma questo” (1950-54)
(Ed. Lerici)


* * *

LXV

un distico col suo segreto
sillabò alla luna
su fonti rapide e rare:
questo era un distico quieto
come un desiderio.

da: "Quaderni di Villa Nuccia" (1959-60)
(ed. Lerici)


* * *

CXXIV

… E io ti porgo una lettera
sulle mie dita. Vedevo il vociferare
dello stagno sulle rocce della strada antica
e ai tuoi piedi sono le ranocchie
volubili come frane. Per questi incunaboli
tu ti volgevi a distesa
pari alle miti onde; e la morte, vedi,
è alla mia destra. Ogni saluto
o la tua voce inutile quanto questa erma
pigra storia, quando a due passi
che tu non concedi passò di lì un soldato.
Forse questi incunaboli, questi fiori,
queste miti gioiose onde
sono quanto di me e di te
è più indimenticabile
sotto l’ermo pigro giro del sole . . . .

da: "Quaderni di Villa Nuccia" (1959-60)
(ed. Lerici)
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