Tacet

2024-25
FOR
violin and orchestra
DETAILED INSTRUMENTATION
solo violin, 2.2.2.2./2.2.2.0./perc. I.II.III./ harp, strings (12.10.8.6.4.)
DURATION
25'
COMMISSION
Milano Musica, Sinfonieorchester Basel, Westdeutscher Rundfunk Köln, Radio France
FIRST PERFORMANCE
2.5.25, Milano, Teatro alla Scala, Festival Milano Musica, Patricia Kopatchinskaja (violin), RAI National Symphony Orchestra, Maxime Pascal (conductor)
PUBLISHER
CATALOGUE NUMBER
143010
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Introduction

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L’indicazione TACET compare nelle partiture per segnalare che uno strumento o una voce deve restare in silenzio per un’intera sezione o movimento. La partitura, con i suoi segni, ordina di tacere, impone il silenzio. Ha il potere di farlo: il silenzio si ottiene immediatamente e acquista un significato nel contesto dell’esecuzione.

Nella vita, invece, il silenzio è una conquista. Non si ottiene con un segno sulla carta, ma con fatica. Spesso è solo un’illusione, un filtro mentale applicato a ciò che disturba, a quel rumore di fondo che vorremmo tenere a distanza. Il silenzio, in senso assoluto, non esiste, e proprio per questo lo si desidera. E come ogni desiderio, lo si incarna come si può - anche attraverso la musica.

Affinché non sia mera assenza, vuoto, insignificanza - e dunque morte (l’unica vera esperienza del silenzio assoluto) - il silenzio deve essere parte integrante della musica. Acquista significato solo all'interno di un organismo sonoro, perché diventa spazio risonante, un vuoto che si riempie di vibrazioni fisiche e mentali. La musica assorbe il silenzio quando risuona in uno spazio, e ogni compositore lo immagina nelle partiture che scrive, creando strutture sonore che vivono di silenzio, lo assimilano e gli danno una consistenza unica, un suono particolare. Il suono contiene il silenzio.

Tra le tante metafore a cui è associato - purezza, pace, benessere, tranquillità, conforto - per me il silenzio è sinonimo di libertà e democrazia. Come queste, è una conquista che richiede disciplina, sforzo per ottenerlo e per mantenerlo. Il silenzio, come la libertà, è fragile: può essere interrotto in ogni momento. Come la democrazia, esige partecipazione e cura. È un esercizio democratico, proprio come la scrittura, che pone le basi per un discorso, un ascolto, un dialogo.

A questo pensavo scrivendo Tacet. Il solista del concerto è una persona che, come tutti noi, affronta con ragionevolezza le situazioni - avverse o favorevoli - di un viaggio compiuto in un mondo complesso, contraddittorio, in mutazione e destinato alla fine. Lo fa con determinazione, ma anche con leggerezza, ironia e uno spirito superiore (senza spirito di superiorità). Il concerto è il luogo di questo confronto, dialettico e civile. Il suo scopo non è imporre una visione, né la voce dominante del solista, ma coordinare voci diverse e persuaderle della loro comune esistenza in uno spazio vitale dove non è la forza o la superiorità che si fanno intendere, ma il fervore e il dialogo: il brusio delle idee, l’energia irradiante della natura, la luce nello sguardo animale, la vitalità delle cose. Un dialogo polimorfo ed egualitario tra tutti.

Vorremmo gridare tacet ai tiranni che impongono alla libertà di tacere, per ottenere il loro silenzio e la scomparsa definitiva del male. Il portavoce di questa parola, il solista, persuade l'orchestra guidandola alla pienezza del silenzio. Ne è l’esploratore, l’iniziatore di un mondo in cui il silenzio si intende nella sua vastità - quindi è sonorissimo, pieno di significato. Un silenzio fatto di parole giuste, sobrie, efficaci. Un silenzio vitale, un bene prezioso e indispensabile, come l’acqua e l’ossigeno, per il vivere civile.

S.G. 11.3.25
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